venerdì 16 novembre 2007

Io, Pietro Micca.

Mi si tratti sempre bene, non mi si contraddica, umilii, mobbizzi: se dovessi diventare un terrorista sarebbero guai seri per tutti. Se c'è da portare avanti un piano non mi tiro indietro, volesse dire anche immolarsi. Se nelle gallerie di Torino tre secoli fa mi fossi trovato forze soverchianti nell'imminenza dell'invasione, anch'io non avrei esitato a fermare tutti i Filistei dando fuoco alla polveriera. A patto di avere almeno una targa commemorativa sul posto, è chiaro.
Ho avuto riprova dell'attitudine al sacrificio durante la famosa cena giapponese. Prima della rivelazione il mio amico direttore posò un vassoio di onigiri: "Li ho fatti preparare appositamente. Attenzione perchè sono un pò piccanti". Sguardo di intesa. Tra il riso bagliori verdi, praticamente c'è solo wasabi concentrato. Invoglio la vittima: senza esitare infilo il veleno in bocca con le bacchette. Nonostante sia preparato, fuoco e ghiaccio invadono ogni canale nasale, mille diavoli nanoscopici perforano ogni nervo, gli occhi lacrimano, l'infarto è imminente ma non muovo un solo muscolo facciale. Lui mi ha seguito, ingenuo. La mia impassibilità ed il suo orgoglio non consentono rotolamenti sul pavimento nè richieste soffocate di estintori, ma sputa e soffia. Sta morendo. E io lo fisso. Quando lacrimando ammette: "Caspita se è piccante!", io ne mangio un altro.